L’epoca del ritiro, quarta parte. Ma è andata così male la didattica distanza?
Da qualche mese a questa parte, politici di ogni partito,
professori universitari un po’ attempati e in difficoltà col touch del
telefonino, pedagogisti di non chiara provenienza e bizzarri psicologi scolastici
hanno lanciato strali contro la didattica a distanza definendola inefficace,
controproducente, inutile e – quando si voleva essere un po’ meno malevoli -
tollerabile tuttalpiù in situazioni emergenziali. Perché la didattica vera,
quella profonda, relazionale, intensa, scandita dal suono romantico della
campanella, quella poteva avvenire solo tra le sacre mura dell’istituto.
Esiste qualche dato a sostegno di tutte queste reprimende? Proviamo
a guardare, per esempio, gli esiti degli esami di Stato (quelli che alcuni
chiamano ancora esami di maturità): come è noto, essi si sono svolti in forma
orale e in presenza mettendo cioè ogni studente di fronte a una
commissione che misurava il suo operato in un’interrogazione che, il più delle
volte, si è prolungata per oltre un’ora. Ebbene, se la DAD (rassegniamoci a
questo acronimo) fosse così inefficace dovremmo aspettarci che una sua
somministrazione in modo emergenziale (senza alcuna piattaforma definita a
priori, con gli insegnanti che hanno dovuto arrabattarsi per trovare un canale
di comunicazione efficace e con gli studenti che talvolta non avevano l’hardware
adeguato per connettersi) produca risultati deleteri e lasci i ragazzi del
tutto impreparati.
Invece le cose sono
andate diversamente. Innanzitutto, i promossi risultano essere il 99.5 di contro
al 99. 7 dell’anno precedente con una perdita quindi, del 2 per mille. Non un
granché, soprattutto se si tiene conto del fatto che a questa maturità tutti
gli studenti erano ammessi di diritto e che non esisteva lo sbarramento dell’ammissione
in vigore invece negli anni precedenti. Ma questo dato è ancora poco
significativo perché si potrebbe obiettare che, in questa come in altre
occasioni, all’esame di maturità passano tutti e non si verifica mai una
selezione seria. I dati diventano però molto più interessante se si esaminano
più da vicino i punteggi realmente ottenuti dagli studenti. I
diplomati con voti superiori all’80 (quelli quindi che hanno fatto una buona
prova aumentano considerevolmente passando dal 32,8 dello scorso anno al
49,6 di questo anno. Ciò significa che la metà degli studenti è andata bene (l’anno
scorso soltanto un terzo). Le votazioni fra il 91 e il 99 sono il 15,9 contro
il 9,7 dell’anno precedente: sono quindi quasi raddoppiate le eccellenze. Le studentesse
e gli studenti che hanno preso 100 sono saliti al 9,9 di contro al 5,6 dello
scorso anno. 12.129 studenti hanno preso la lode: erano 7.513 nel 2019.
Non possiamo spiegarci questi risultati facendo appello alla
generosità degli insegnanti: i docenti sono disposti a chiudere un occhio
quando si tratta di aiutare qualcuno ad arrivare al 60, ma non sono affatto disposti
a regalare punteggi elevati a studenti che non lo meritano. Se i voti sono
stati alti è perché, in generale, gli studenti erano ben preparati. Non credo
neppure che si possa far riferimento alla mancanza degli scritti. Le prove
scritte, per come sono concepite specialmente per quanto riguarda la prima
prova e dopo che comunque è stata eliminata la terza, servono più ad
incrementare che a ridurre il bottino di ogni studente. Il tema di italiano
infatti sta aiutando da secoli gli studenti meno preparati che, anche senza un
bagaglio di conoscenze approfondito, possono riuscire a conquistare una
sufficienza scrivendo in modo generico di un argomento qualsiasi. L’orale,
invece, mette a nudo in modo impietoso i punti deboli e costringe a misurarsi
con l’ansia. L’esame 2020 non era più semplice degli altri.
Come mai questi nostri studenti che per quattro mesi circa
non hanno sentito il suono confortante della campanella, che non hanno goduto
della prossemica con gli insegnanti, che si sono persi lo sfrigolio del
gessetto sulla lavagna e altri terribili traumi del genere sono riusciti a prepararsi lo
stesso? Donde deriva tutta questa resilienza? Faccio l’ipotesi che una
studentessa o uno studente tranquillo con una discreta voglia di imparare possa
sentire delle lezioni in video, risentirle se ne ha bisogno, discutere da
remoto con gli inseganti, mettersi a leggere libri di testo, sostenere qualche
verifica e, alla fine, capire gli argomenti che gli vengono proposti senza troppa
difficoltà e senza perdite di tempo inutili.
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