L'epoca del ritiro sesta parte: homeschooling?
In Italia si
chiama educazione parentale, ma, a livello internazionale si usa il
termine home schooling. Si tratta, in realtà, di una faccenda piuttosto
semplice e del tutto consentita dalla legge anche per i minori (decreto
legislativo 16/04/1994, n.297 art.111 comma 2: “I genitori dell’obbligato o chi
ne fa le veci che intendano provvedere privatamente o direttamente all’istruzione
dell’obbligato devono dimostrare di averne la capacità tecnica o economica e
darne comunicazione anno per anno alla competente autorità”. Si deve infatti
tener presente che la Costituzione assegna ai genitori l’obbligo di istruire i
loro figli ma non l’obbligo di mandarli a scuola: una famiglia può provvedere
all’istruzione di un figlio anche per conto proprio. E scegliere l’home
schooling.
In Italia
fino a questo anno la scelta dell’educazione parentale ha riguardato un numero
ristretto di famiglie ma le cose vanno diversamente negli Stati Uniti ove i
ragazzi e i bambini in home schooling sono più di due milioni o in Canada ove
se ne contano 60.000.
Il recente
andamento pandemico assegna a questa scelta un valore protettivo particolare,
ma vorremmo scriverne qui in termini assolutamente indipendenti dalla
contingenza epidemiologica. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di una scelta
del genere?
Tra i limiti
indicheremmo senz’altro la mancanza di un confronto con degli adulti competenti
nelle varie discipline che possono dare formazione culturale ma anche modelli
di comportamento etico, occasioni di confronto e di dibattito: fuori dalla famiglia,
i bambini e gli adolescenti incontrano un mondo nuovo e lo esplorano In secondo luogo, viene a mancare un’esperienza
gruppale nella quale il bambino e l’adolescente incontrano gli altri e si
inseriscono in un contesto regolato e strutturato ove apprendono stili
relazionali e regole sociali. I bambini educati parentalmente rischiano di
sentirsi diversi e iperprotetti.
D’altro
canto, esistono anche dei vantaggi: l’educazione parentale permette quella
flessibilità e quell’ancoraggio ai tempi, alle attitudini e agli stili di
apprendimento individuali che l’inserimento in un gruppo classe fa fatica a
consentire inoltre obbliga i genitori ad assistere e a partecipare direttamente
al percorso formativo dei loro figli senza delegarlo del tutto all’istituzione
scolastica. I genitori che decidono per l’’home schooling mantengono un
contatto continuo coi progressi formativi dei loro figli.
E gli
insegnati? Se ne può davvero fare a meno? Io credo assolutamente di no. Un
percorso di home schooling ben organizzato deve comunque prevedere momenti di
formazione e di tutoraggio al di fuori del contesto familiare anche se non a scuola.
La figura dell’insegnante diviene allora simile a quella dei vecchi precettori
o dei nuovi educatori: soggetti competenti in alcune discipline che associano
alla loro attività bambini e ragazzi con l’intento di aiutarli a crescere e a
intravedere un futuro: l’home schooling non si mette contro gli insegnanti (perlomeno
non contro i bravi insegnanti) ma si oppone alla rigidità burocratica del
sistema scolastico.
L’ultimo
punto è la socializzazione: chi non va a scuola non deve rimanere a casa, perché
questa chiusura lo danneggerebbe ma deve trovare in ambiti diversi dalla scuola
delle adeguate agenzie di socializzazione. Si apre uno spazio immenso per
gruppi di volontariato, centri di aggregazione giovanili, società sportive,
associazioni culturali e ricreative.
Non tutti
hanno le condizioni economiche, i rapporti di lavoro, il tempo e la cultura per
organizzare una buona educazione parentale, ma è possibile immaginare che un
equilibrio fra home schooling e scolarizzazione possa essere utile per tutti
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