L'epoca del ritiro. Prima parte: quel che ci succede


Ho studiato per anni il ritiro sociale nei ragazzi in crisi, quello di chi, colmo di vergogna per il suo corpo, ha deciso di sottrarsi allo sguardo di tutti e di rifugiarsi nella sua cameretta in compagnia dei videogiochi e di amici virtuali invertendo il giorno con la notte, rifiutandosi di andare a scuola e di incontrare gli amici. Mai avrei pensato che un mondo intero, nel giro di qualche mese, si sarebbe trovato a condividere forzatamente la situazione che avevo conosciuto in tanti miei pazienti e nella quale mi ero identificato al punto da scrivere una sorta di caso clinico romanzato dedicato proprio a uno di loro. Certo, per noi oggi le cose sono diverse: il blocco non deriva da un conflitto interno ma da un’ingiunzione esterna, Tuttavia ognuno di noi oggi, nel chiuso delle pareti domestiche, comincia forse ad avvertire alcuni dei sintomi  (o, se vogliamo sdrammatizzare, dei fenomeni psichici) cha accadono e sono accaduti ai miei pazienti, tanto che loro oggi sembrano essere paradossalmente più a loro agio, avvertire meno la differenza rispetto a noi ed essere persino pronti a quei confronti familiari che, prima, evitavano rigorosamente. .All’inizio l’isolamento si installa dentro di noi con una dolcezza che non deve illuderci: si avverte una sorta di sollievo nel non essere obbligati a confrontarsi fisicamente con gli altri e nell'accedere a multiformi rapporti virtuali che vengono vissuti con discreta rilassatezza. Il lavoro online produce una certa soddisfazione: ci si sente gratificati quando ci si impossessa di nuovi strumenti tecnologici  e si vede che essi funzionano piuttosto bene. Si risparmia tutto il tempo altrimenti necessario per andare in ufficio e lo si usa proficuamente per mettersi alla prova con ricette di elevata manualità e preparazione, impossibili quando il tempo è poco. C’è anche modo di recuperare qualche film o di riuscire a leggere un paio di libri lasciati per mesi (quando non per anni) sugli scaffali. Poi le cose sottilmente cambiano. La noia interviene piuttosto presto e ci accorgiamo che, per andare avanti, dobbiamo costringerci a uno sforzo, a un esercizio tutt’altro che semplice: il ritmo del sonno diviene più disturbato, certe notti ci si sveglia in preda a una strana angoscia cui non si riesce a dare un nome, il suono lancinante delle ambulanze ci riporta a una realtà di dolore e di morte da cui cerchiamo di dissociarci. A volte il mondo del dolore e della realtà si appropria di noi come se precipitassimo in un incubo: un nostro parente positivo, la minaccia di esserlo a nostra volta, la paura per le persone che amiamo e, ancora, il rumore assordante delle ambulanze o le terribili immagini delle bare trasportate dai mezzi dell’esercito a Bergamo e delle fosse comuni a New York. Sappiamo poco di cosa succede nella mente di chi è costretto all’isolamento per motivi sanitari: un articolo comparso recentemente su Lancet [1] descrive gli effetti psicologici della quarantena nei casi di epidemie precedenti al Covid  ed elenca una lunga teoria di disturbi: distacco sociale, ansietà, irritabilità, paura, insonnia, scarsa concentrazione, riluttanza al lavoro, e – a medio e lungo termine dopo  la quarantena - incremento dei casi di alcoolismo, depressione, disturbi post traumatici da stress particolarmente evidenti in coloro che avevano impegni nella salute pubblica e che pertanto erano più esposti al rischio. Più lunga è la quarantena, più gravi sono i disturbi, più giovani sono gli individui quarantenati, più difficile è la situazione (con un picco di disturbi per coloro che sono fra i quattrodici e i ventiquattro anni), più sole sono le persone più alto è la possibilità di conseguenze gravi.

Cosa ci accadrà? L’isolamento cui siamo costretti non è ancora la quarantena, non sentiamo ancora la minaccia in modo così grave, ma è vero che questa faccenda andrà per le lunghe e che ai danni per la salute si aggiungeranno quelli economici e che questi ultimi provocheranno altra precarietà, altre incertezze, altri disturbi. Ci aspetta un mondo complesso e difficile nel quale la speranza farà fatica a essere riscritta. Per questo forse vanno coltivati fin d’ora tutti i rapporti che abbiamo, da quelli in famiglia a quelli con gli amici e coi colleghi. Occorre una solidarietà profonda, una riscoperta dei legami affettivi che, pur nella distanza della videocomunicazione, sono ancora in grado di darci vicinanza e affetto. E’ cominciata l’epoca del ritiro: in mano ai medici ora, agli psicologi fra non molto… ma è dovere di ognuno di noi ricercare quella solidarietà discreta e spontanea che converte il dolore in forza interiore.



[1] SK Brooks, RK Webster, LE Smith, L. Woodland, et al.  “The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence” Lancet, 395, 14 marzo 2020.

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